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Nata come costola della Decca Gramophone Company subito dopo il crollo di Wall Street del 1929, l’etichetta inglese è diventata uno dei colossi della musica mondiale, capace di lanciare i musicisti più illustri della storia, tra cui i Rolling Stones (ma non i Beatles)

[di Gareth Murph – pubblicato su Vinyl n. 12 / continua da I 90 anni della Decca – pt. 1/3]

«Gli Stones occupavano uno studio accanto al mio» racconta Tony Meehan, un altro produttore della Decca. «Sembravano dei beatnik, dei selvaggi fatti e finiti. Un giorno mi sono messo a sentirli e sembrava avessero gravi problemi ad accordare gli strumenti. Quando hanno iniziato, ho detto ad Andrew [Oldham]: ‘ma stanno suonando con gli strumenti scordati!’. Lui mi ha guardato, ha riso e ha risposto: ‘Eh sì, non è una cosa pazzescamente bella?’. Sembrava punk ante-litteram…».

Mentre i Beatles conquistano gli States, i Rolling Stones si prendono il Regno Unito e li raggiungono poco dopo Oltreoceano con le hit I Can’t Get No (Satisfaction) e Get Off My Cloud. Gli anni ‘60 si rivelano ben presto una scossa sismica così potente da sconvolgere completamente l’intero panorama musicale, ma nonostante tutto saranno sempre gli Stones a rimanere la punta di diamante delle produzioni Decca.

Nel Regno Unito, durante il loro periodo Decca (’63-’69), infilano ben 17 singoli nella top 10, di cui nove direttamente in prima posizione. Negli Stati Uniti, invece, sono ben dodici le loro hit che, nello stesso periodo, entrano nelle prime dieci posizioni delle classifiche nazionali, cinque delle quali in cima alla vetta.

Nel 1965 la marcia dei giovani ribelli prende sempre più slancio. «Adoravo lavorare nei West Hampstead Studios della Decca – racconta ancora Talmy – ma ho sentito il bisogno di rendermi il più possibile indipendente quando Dick Rowe ha rifiutato entrambe le band che gli avevo proposto: Manfred Mann e Georgie Fame. Portando poi i Kinks alla Pye ho praticamente reciso il mio rapporto con la Decca; eppure, una volta scoperti gli Who, mi sono sentito in dovere di proporli a loro. Non ci crederete, ma ancora una volta mi sono sentito opporre uno schietto rifiuto. Siccome avevo saputo che la Decca americana era di mentalità ben più aperta rispetto alla sua gemella inglese, sono andato a New York. Pensare che i dischi degli Who sono usciti in Inghilterra attraverso la Brunswick, la sussidiaria di Decca per le band americane, fa quasi ridere, ma è la pura verità: se vi siete mai chiesti perché l’edizione originale di My Generation non aveva il timbro Decca, questo è il motivo. Gli Who son dovuti entrare dalla porticina sul retro».

Se da un lato il caso Who rappresenta un ennesimo grave errore della Decca, non si può certo dire che l’etichetta manchi di fiuto, come dimostra lo sciame di debutti in sordina di future star della scena musicale anni ’60 e ’70 che affolla il suo catalogo dell’epoca, dagli Small Faces a John Mayall, da Marc Bolan ai Moody Blues e così via. In un certo senso, si può dire che gli studi Decca sono, negli anni ’60, una vera e propria incubatrice di talenti destinati a cambiare il mondo della musica, come Jimmy Page, Eric Clapton, Peter Green, Robert Fripp, Mike Vernon e Tony Visconti.

[continua con la terza parte]