È difficile pensare che una persona con un giradischi, anche alle prime armi, anche se ascolta solo punk, non abbia in casa un album della band britannica.

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È difficile pensare che una persona con un giradischi, anche alle prime armi, anche se ascolta solo punk, non abbia in casa un album della band britannica. I pilastri della discografia dei Pink Floyd sono nello spazio perfetto tra sostanza e forma, tra storia della musica e complemento d’arredo, e anche chi non sa niente dei nostri gusti può finire per regalarceli perché danno la sensazione del bene rifugio. In un modo o nell’altro, in tutte le collezioni c’è sempre almeno un album tra Wish You Were Here o The Wall, Animals o Atom Heart Mother. Relics non è tra queste pietre miliari: è un 33 giri strambo, decisamente minore, proprio per questo molto affascinante. Dato che era il 1971 e si comprava musica a rotta di collo, per fare uscire qualcosa prima del successivo Meddle, la EMI decise di pubblicare una raccolta di brani editi finiti un po’ in penombra. Relics – A Bizarre Collection of Antiques & Curios (Reliquie – Una bizzarra collezione di antiquariato e rarità) è la prima di diverse raccolte dei Pink Floyd. Intendiamoci, sono sempre i Pink Floyd. Ma la loro idea di album, inteso come composizione intera e non come collezione di brani concepiti come autonomi, soffre di quei cambi d’atmosfera che nelle raccolte non solo sono inevitabili, ma sono anche po’ il bello del gioco. Qui la sensazione è diversa perché ci sono dei veri singoli, Arnold Layne e See Emily Play (tra l’altro in mono, contrariamente al resto delle tracce), ci sono dei pezzi dei primi dischi dove c’è ancora Syd Barrett (Bike e Interstellar Overdrive), qualche lato B da recuperare (l’ottima Julia Dream), un New Orleans style scritto da Waters e intitolato Biding My Time, una versione in studio di Careful With That Axe Eugene, brano con cui per anni la band ha chiuso i propri concerti. Quindi Relics, con questa copertina disegnata dal batterista Nick Mason e non dallo studio grafico Hipgnosis, con questa raccolta di canzoni eterogenea e un po’ raffazzonata, con l’opportunismo di essere concepito per colmare un buco di pochi mesi tra due disconi, merita attenzione proprio per ciò che non è. Non è un bene rifugio, non è un gigantesco pezzo di storia della musica, non è il disco preferito di nessuno, non è da mettere sul piatto quando si hanno il tempo e l’attenzione esclusiva da dedicargli. I dischi che non si venerano spesso sono quelli che si ascoltano con più leggerezza. Per finire, è bene controllare, ma con ogni probabilità tra i vostri dischi non c’è