Dal primo lavoro a bottega in un negozio di musica fino ai viaggi oltreoceano e a incontri sensazionali, Roberto Razzini ripercorre la sua storia nel libro Dal vinile a Spotify: quello che resta sono le canzoni

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Roberto Razzini è il Managing Director di Warner Chappell Music italiana dal 2002 e dal 2018 è membro del Consiglio di Gestione Siae. Ma la sua vita è sempre stata nella musica. Il padre, direttore commerciale di quella che fu la CBS Sugar, diventata poi CGD Messaggerie Musicali, lo ha messo in contatto con la musica di tutto il mondo fin da bambino, tra uffici e studi di registrazione, artisti, concerti e dischi. Soprattutto dischi. Dal primo lavoro a bottega in un negozio di musica fino ai viaggi oltreoceano e a incontri sensazionali, Razzini ripercorre la sua storia in Dal vinile a Spotify: quello che resta sono le canzoni, un libro che racconta l’evoluzione del mercato discografico in termini di produzione e distribuzione ma non solo. Ci sono i supporti, le innovazioni, i cambiamenti. Ci sono gli artisti, i tour. Dal vinile come oggetto di culto allo streaming. Tenendo sempre al centro le canzoni.

La musica sta vivendo un momento molto difficile: come lo stai affrontando?

C’è una doppia velocità, dal punto di vista creativo e manageriale dobbiamo andare avanti a cercare nuove opportunità e investimenti ma il riscontro del mercato, i risultati, in questo momento mancano. Stiamo soffrendo tantissimo della mancanza della musica dal vivo, nonostante i piccoli tentativi fatti quest’estate. Il sistema produttivo rischia di andare in crisi.

Sei cresciuto in mezzo a un’enorme collezione di vinili. La tua formazione musicale è iniziata lì?

I dischi che mi hanno formato sono quelli che piacevano a mio padre. Ho maturato il mio senso critico indipendente abbastanza precocemente. Sono partito da Frank Sinatra e Burt Bacharach, ma il disco rivoluzionario è stato Jesus Christ Superstar. Ricordo come fosse ieri mio padre che, brano dopo brano, me lo ha fatto assimilare. Andare a sentire le canzoni dal vivo a teatro cinquant’anni dopo è stato epico.

Se tuo padre non fosse avesse avuto quel ruolo, saresti arrivato comunque alla musica?

Non avendo una passione per nessuno strumento non so se avrei preso questa strada. Se mio padre avesse fatto un altro lavoro non mi sarei fiondato in questo mondo con questa passione e questa voglia di rimanerci. A tre anni ero in braccio a Betty Curtis… Questo era il mio destino.

Il ritorno del vinile secondo te è in qualche modo legato al successo dello streaming?

Il ritorno del vinile sancisce e certifica la morte irreversibile del Cd. È un supporto che viene apprezzato da chi lo ha vissuto in passato o da chi lo ha scoperto per la prima volta ora. Sta diventando un oggetto interessante anche per gli artisti di ultimissima generazione che lo scoprono come strumento da collezione. L’album è sempre stato un oggetto da conservare. Molto più del 45 giri, molto più di una cassetta.

Nel libro parli di un’esperienza diversa, più completa.

Aprire un vinile era un rito, andavi a leggere i crediti, scoprivi chi aveva suonato, mixato. C’era un mondo da esplorare. È da sempre un oggetto da conservare, a futura memoria.

È un viaggio nel tempo tra jukebox, 45 giri, cassette, mp3. Il tuo supporto preferito qual è?

Ho sempre cercato di restare collegato all’evolversi del tempo. Ho passato notti intere a portare la mia discografia su un hard disk, per poi non farmene niente. Oggi uso solo Spotify, strumento interessante anche per gli addetti ai lavori. Al venerdì esce la nuova musica e scopri lo scenario di quel che è il mercato, gli artisti nuovi. Un tempo passavi il pomeriggio nei negozi di dischi. Al sabato ricordo che i clienti restavano anche tre ore, passavano tutte le novità. Oggi lo facciamo ancora, ma in ciabatte, da casa.

La tecnologia porta velocità, la velocità non rischia di far diminuire la qualità?

La tecnologia ha snellito il processo produttivo e il processo di fruizione. È però aumentato il flusso sia in entrata sul mercato sia in uscita verso gli ascoltatori. Prima c’era un’offerta minore, ma anche il mercato era più piccolo. Ascoltiamo molta più musica di una volta, qualcosa è valido, qualcosa ricorda il passato, altro sembra non arrivare neanche a fine stagione. Non so dire che cosa resterà, non so dire quanto possa durare la musica di oggi. Servirà un bilancio più distaccato tra qualche anno.

 

Ricordi in vinile, dal libro

“Periodicamente mio padre riceveva le anticipazioni dei dischi che sarebbero poi usciti in Italia. Allora si chiamavano campionature promozionali: 33 e 45 giri cui veniva intagliato un piccolo foro triangolare sull’etichetta, a segnalarne il valore non commerciale. I sabati e le domeniche li trascorreva in salotto, ascoltando tutte le novità tramite l’impianto di casa che, come spesso si usava allora, era composto da un mobile con una radio e un giradischi stereo. In quegli anni, infatti, non esistevano dispositivi portatili, se non le fonovaligie o i mangiadischi per 45 giri”.