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Ci sono teste pensanti, teste parlanti, teste vuote, di legno o anche di peggio. Quelle di cui parliamo sono in plastica, lattice e metallo e fanno una cosa semplice: ascoltano, ma lo fanno in un modo straordinario. Passato, presente e futuro di una tecnica che sta rivoluzionando il modo in cui ascoltiamo la musica.

[di Valentina Giampieri – articolo integrale pubblicato su Vinyl n.10 / continua da Registrazione binaurale: una questione di testa – pt.1]

La nascita di terzo orecchio

Franko scopre l’esistenza dell’audio binaurale nel 2001. Lavora già da più di dieci anni come tecnico audio, ma le tecnologie nel frattempo si sono molto evolute e decide di dotarsi di laptop, scheda audio e altri equipaggiamenti leggeri, per mettere in piedi uno studio di registrazione portatile.

«Per scegliere i microfoni, ho fatto delle ricerche sul sito della Neumann, che secondo me produce i migliori; è stato così che mi sono imbattuto in questo testone. Non c’era molto materiale in merito, ma leggendo le specifiche tecniche non capivo come mai non ne avessi mai sentito parlare. L’ho comprato a scatola chiusa. All’epoca c’era ancora la lira, ho speso più di dieci milioni. Arrivato a casa, l’ho montato e messo sul balcone. Vivo sopra un giardinetto, in una zona piuttosto tranquilla. Si sentono giusto gli uccellini e qualche automobile in lontananza. Insomma, collego il microfono, metto la cuffia e sento lontanissimo il rumore di un camion. Sorpreso, tolgo la cuffia e quel suono subito sparisce. Il capoccione mi faceva sentire persino quello che le mie orecchie non erano in grado di percepire».

Nel 2007, Stefano Arciero, laureatosi in ingegneria con una tesi sperimentale sulla sintesi binaurale realizzata mediante elaborazione numerica e filtri digitali, scopre Terzo Orecchio e comincia a lavorare con Franko.
«Mi è bastato sentire le onde del mare registrate da lui, per rendermi conto che tutte le simulazioni digitali che avevo ascoltato per la tesi non erano altrettanto realistiche. Solo in quell’occasione ho avuto la netta sensazione di essere su una spiaggia. Il suono era in cuffia ma, incredibilmente, veniva da fuori».

Continua Franco Russo: «Molte persone sono restie a usare la cuffia, perché si sentono isolate dal mondo esterno, ma quando sentono questo tipo di registrazioni si scordano di averla. La percezione è completamente diversa: la testa non è più piena di suoni: i suoni restano fuori. E anche con gli auricolari più scadenti, si avverte con precisione da dove vengono: anche con una qualità audio inferiore, l’effetto 3D rimane. Per fare un paragone, con i sistemi di audio surround tipo Ambisonics, che consistono in più capsule microfoniche montate in varie direzioni e fanno una registrazione multicanale, grazie a più microfoni disponi di una registrazione su più tracce separate, che però poi devi per forza rimaneggiare e riportare su due canali: alla fine perdi proprio l’effetto tridimensionale. Se hai tanti microfoni, devi ascoltare quella registrazione con lo stesso numero di altoparlanti e posizionandoli esattamente nelle direzioni corrispondenti. Così in cuffia l’effetto 3D svanisce, mentre con il binaurale è proprio in cuffia che si ha la resa migliore».

«Molti sistemi surround – precisa Stefano Arciero – vengono venduti spacciandoli per 3D, ma in realtà sono 2D. Il binaurale è l’unica tecnologia in grado di restituire realmente i tre assi dello spazio, il sussurro vicino all’orecchio, il rumore lontano, ma anche quello che arriva da sopra e quello che proviene da sotto. In tutti gli altri sistemi, all’ascolto in cuffia, manca l’asse Z dell’altezza».

Il mistero del “capoccione”

Franko ci introduce con passione a gioie e dolori di questa tecnica ricca di possibilità, a patto di saperla controllare: «Il capoccione della Neumann ha uno stadio di equalizzazione attiva, contenuto nell’elettronica sigillata, segretissima. Mima il funzionamento dell’orecchio medio e dei suoi tre ossicini, persino l’irrigidimento della catena in caso di suono troppo intenso e il successivo rilasciamento. Nel modello precedente questa fase non esisteva, la registrazione aveva già le caratteristiche tridimensionali ma il suono doveva essere elaborato in post-produzione con compressori ed equalizzatori. Oggi l’elaborazione non è quasi più necessaria. Ovviamente Neumann non è l’unica a produrre microfoni binaurali. Ha un discreto successo anche 3Dio, che è fatto con due orecchie unite da un parallelepipedo montato sempre su un’asta. La testa non c’è, ma la testa, tra le nostre orecchie, una funzione ce l’ha. Forma, massa e cavità risonanti al suo interno influiscono profondamente sulla ricostruzione dello spazio tridimensionale. Come anche i materiali di cui è fatta. Nel KU-100, per esempio, la gomma è abbastanza simile alla cartilagine del nostro padiglione auricolare.Come tecnico, rispetto alla registrazione stereo, ho dovuto ripensare praticamente tutto. Quando si lavora con tanti microfoni, su più tracce, la maggior parte del lavoro si può fare in post-produzione. Per esempio, puoi decidere di riprodurre a destra i violini che avevi registrato a sinistra. Con il binaurale quello che registri è quello che hai, non puoi spostare nulla, perché in quel tipo di panorama sonoro sono presenti tutti gli elementi insieme. È un po’ come girare la scena di un film: l’ambiente va preparato prima. Bisogna posizionare le luci, gli oggetti di scena, poi servono gli attori che devono indossare determinati costumi e conoscere la parte. La telecamera si accende soltanto quando tutto è pronto. Nel binaurale si lavora così: il grosso si fa in pre-produzione e bisogna sceneggiare acusticamente la scena. Soprattutto, è fondamentale l’ambiente, perché il microfono non prende solo una porzione di spazio, prende tutto l’insieme. Se registri in un ambiente rimbombante, la registrazione verrà rimbombante e non c’è alcun modo di rimediare. O cambi ambiente oppure devi mettere delle trappole sonore per i bassi, per esempio dei tendoni, elementi che assorbono l’eccesso di onde stazionarie per ottenere un suono più asciutto. Si chiama registrazione ambientale perché praticamente cattura tutto quello che c’è, per esempio non c’è modo di filtrare le voci di sottofondo, perché non sono una frequenza fissa. Una frequenza fissa, per esempio un condizionatore acceso, si può togliere, ma i suoni indesiderati devi prevenirli ed eliminarli a monte per non pasticciare troppo la registrazione: avendo sui due canali tutte e tre le dimensioni dello spazio, è come un minestrone: una volta cotto non puoi levare le patate, perché ormai si sono unite a tutto il resto. Bisogna essere bravi a preparare e posizionare il microfono che è estremamente sensibile. Basta spostarlo cinque centimetri a destra o a sinistra, davanti o dietro, e la registrazione cambia completamente».

[Foto EJ Posselius – licenza  Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic / continua con la terza parte martedì 8]