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Ci sono dischi senza i quali è difficile vivere, immancabili in ogni collezione. Altri invece, semplicemente, pur non essendo capolavori imprescindibili, sanno regalare emozioni sempre nuove a ogni ascolto. Sono lavori minori, a volte opere secondarie, di rado sotto i riflettori, quasi mai citati a prima risposta: sono i dischi che dovresti avere.

[di Andrea Zignone – articolo pubblicato su Vinyl n.9]

The The, Soul Mining, Epic 1983

I The The sono Matt Johnson, indecifrabile genio creativo britannico in continua ricerca di una trama sonora, ora semplice ora complessa, mai scontata.
Nel 1983 porta alle stampe il suo primo lavoro, Soul Mining, un disco elegante e seducente.
La puntina deve correre lungo tutto il solco, da facciata a facciata, perché questo disco merita un ascolto attento. Se proprio dobbiamo indicare un brano che spicca sugli altri, questo è Uncertain Smile. È un gioiello di brillante bellezza, meravigliosamente scritto, delicatamente arrangiato, dove la logica incoerenza del rapporto amoroso trova voce.

Beck, Sea Change, Geffen 2002

I cambiamenti radicali sono la cifra stilistica di Beck, e Sea Change non è certo da meno.
Dopo bouquet di canzoni avvolti da carta nonsense, nastri pastiche, funk e lo-fi, arriva un album ottimamente confezionato, equilibrato, ispirato.
Assai diverso rispetto ai precedenti e ai successivi lavori, Sea Change non tocca il vertice scanzonato di Odelay. Eppure resta un album che, ascolto dopo ascolto, sorprende per i continui riferimenti (da Gainsbourg a Nick Drake, da Ry Cooder a Neil Young) e per la sua totale incapacità di invecchiare.
È un disco colto, fatto di strati sonori sovrapposti, decorato da raffinati bigné come Lost Cause e Sunday Sun.

Madonna, I’m Breathless, Warner 1990

Per molti è la regina del pop, per altri resta solo una showgirl fabbricasoldi. Forse è tutto questo e molto di più se è vero che la signora ha passato gli ultimi 35 anni a cambiar d’abito, un continuo fouettés en tournant alla ricerca di equilibrio.
Una delle giravolte più sorprendenti fu I’m Breathless, un album che lasciò molti fan senza parole.
Lontanissima dalle sonorità pop-dance dei lavori precedenti, qui Madonna veste la propria voce di jazz, swing e salsa. L’album è talmente imperfetto da essere godibilissimo, forse soprattutto per i detrattori di Miss Ciccone, i quali troveranno in I’m going Bananas uno splendido divertissement stile Carmen Miranda.
Due parole le merita anche Vogue, il cui video fu diretto da David Fincher, futuro regista di Seven, Fight Club, The Social Network. Madonna qui rende popolare il vogueing, tipico ballo dei locali gay fine anni ’80, con un pezzo house che trova posto ma non casa nell’album.

Meat Loaf, Bat Out of Hell, Epic 1977

Quando in The Rocky Horror Picture Show entra in scena sulla moto, con giubbotto di pelle dalle maniche strappate e una vistosa sutura sulla fronte, già si capisce quanto strampalata e fuori di testa sia quella creatura chiamata Meat Loaf!
Due anni dopo l’apparizione nel film culto, viene pubblicato uno dei dischi più improbabili, più barocchi e finti della storia del rock, nonché uno dei più divertenti: Bat Out of Hell.
La copertina è una meraviglia firmata Corben, il cui mood horror-gore viene subito smentito dalle prime note. Gonfiando lo jabot della sua camicia, Meat Loaf interpreta ogni pezzo con gusto melodrammatico, fino all’imperdibile duetto di Paradise By The Dashboard Light. Leggendario.

The Velvet Underground, Loaded, Atlantic 1970

I Velvet Underground sono il gruppo che ha pubblicato uno dei primi cinque album più importanti di sempre, scegliete voi la posizione.
Gli artisti però non vivono di soli capolavori, ma anche e soprattutto di hit che gli garantiscono proventi e champagne.
Queste erano le intenzioni per Loaded, ovvero fare un album “pieno” di successi.
Il risultato fu un album minore se messo sulla bilancia con The Velvet Underground & Nico, considerato al massimo “passabile” dai critici più severi.
Va invece riascoltato, scostandolo dalla luce bianca e calda dei lavori più importanti del gruppo, al fianco dei quali anche Abbey Road suonerebbe stantio e commerciale.
Who Loves the Sun è un godibilissimo pezzo pop, I Found a Reason è una sfacciata presa in giro degna dei Blues Brothers, New Age un pezzo di rara delizia in cui l’insolita voce del bassista Doug Yule (il vocalist era Lou Reed) ricorda il tono androgino di Nico.