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Ogni album è un’opera d’arte: anzi, ogni vinile a 33 giri è una mostra di pezzi unici, di sculture, disposte insieme e in un preciso ordine in quel disco, che rappresenta un momento ben preciso della vita dell’artista, irripetibile e unico. Ce lo racconta Luca De Gennaro, autore del programma di classic rock di Radio Capital e delle serate live al Mare Culturale Urbano di Milano

Estratto dall’articolo pubblicato su Vinyl n.6 (febbraio 2019): puoi leggere l’intervista integrale a Luca De Gennaro, di Giuliano Donati, sulla rivista.

Partiamo dall’inizio…

Luca, partiamo proprio dalle basi: che cos’è un album su vinile?
Siete mai stati a una mostra di quadri? Ecco: è un po’ la stessa cosa: entri, segui una direzione, vedi un quadro dopo l’altro nell’ordine, nella luce e nella cornice in cui il curatore li ha disposti. Leggi le note sul manifesto o sulla locandina, paragonabile alla cover del disco, e alla fine te ne vai a casa pieno di emozioni e di impressioni, che sono almeno una parte di quello che l’artista voleva darti. Pensando a questa cosa – che magari è scontata per chi ha vissuto come me l’epoca dei vinili e degli album degli anni ’70, ma che forse non è più così scontata oggi – ho anche creato le serate intitolate “Ascoltiamo un disco” a Milano, al Mare Culturale Urbano, un locale in zona San Siro. Durante questi eventi porto un mio disco e lo faccio ascoltare, cercando di dare prima tutti gli elementi che servono per sapere che cosa ascolteremo. Poi tutto quello che serve per capire man mano che cosa stiamo ascoltando. E vedo che le persone vengono numerose.

Le serate al Mare Culturale Urbano

Come avviene questo ascolto?
Le serate si svolgono, ovviamente, con un impianto stereo e un giradischi e tutto avviene tra il momento in cui la puntina scende sul primo solco e quello in cui risale, alla fine della seconda facciata. In questo lasso di tempo si scoprono e si dicono tante cose. La prima, per esempio, è che la durata non è importante. Dischi come Dark Side of the Moon dei Pink Floyd o La voce del padrone di Battiato contengono poche canzoni e non superano i 40 minuti. Non servono trenta brani per fare un capolavoro. Questa regola della durata vale sia per la singola canzone sia per l’album intero. Un po’ come per la dimensione dei quadri, per tornare all’esempio che facevo prima: non devono essere grandi per essere belli.

Quindi non ascoltate versioni arricchite da bonus track o collection strapiene di canzoni, ma solo i dischi originali?
Sì, noi facciamo ascoltare sempre il disco originale. Una copia della prima edizione, di solito mia personale o di qualche amico o, come è successo, dell’autore stesso. Una volta sola ho dovuto comprare una copia, perché la mia non la trovavo più. In compenso, una volta ha partecipato a una serata il figlio di Ivan Graziani, che ha portato la copia di Pigro che era stata di suo padre. L’idea che stessimo ascoltando proprio la copia che girava sul piatto del suo autore ha reso tutto ancora più emozionante. Quindi mai le riedizioni o le deluxe version.

Riconoscere un classico

Come si scelgono i classici da ascoltare?
È la cosa più difficile, come puoi immaginare. I capolavori e i classici ormai oggi sono tanti. Cerco di scegliere comunque dischi che siano ascoltabili da tutti, che non abbiano parti troppo difficili o strane e, possibilmente, che siano ormai entrati nella coscienza collettiva. Quindi dischi che anche l’uomo della strada almeno una volta ha sentito. Quindi Dark Side of the Moon, ma non solo. Quello, diciamo, è l’album perfetto, quello che tutti hanno in mente quando pensano a un disco. Ma abbiamo ascoltato anche News of the World dei Queen, Selling England by the Pound dei Genesis, Tommy degli Who, Imagine di John Lennon, Ziggy Stardust di Bowie e così via. E anche molti italiani. E poi sono successe alcune cose speciali. Nel 2017 abbiamo ascoltato Sugo di Eugenio Finardi, con l’autore seduto lì con noi, ospite. Sentire Eugenio che si appassionava a raccontarci come è nato quel disco e a farci ascoltare i dettagli è stato bellissimo e istruttivo.

Soltanto rock e pop o anche altri generi?
Non solo rock. Quando c’è stato Piano City, la giornata milanese dedicata al pianoforte che si ripete ogni mese di maggio, visto che Mare Culturale Urbano ha un palco per concerti, abbiamo fatto una serata di “Ascoltiamo un disco” con Keith Jarrett e con il suo famosissimo Köln Concert, forse l’album di improvvisazioni al pianoforte più venduto della storia. In quel caso abbiamo messo il giradischi proprio sopra a un pianoforte che era lì per le serate di Piano City. È stato molto evocativo: sul palcoscenico c’era un pianoforte, vuoto, sul quale un giradischi faceva girare un album che riproduceva uno dei concerti di pianoforte più belli mai eseguiti…

Il “contorno” di un vinile

Quali sono le premesse necessarie all’ascolto di un vinile?
Io parto sempre dalla storia dell’artista, dalle origini fino alla realizzazione di quel particolare disco. Se ascoltiamo Foxtrot dei Genesis, che è del 1972, di solito racconto come sono nati i Genesis e arrivo a dire tutto di loro fino all’anno del disco. Non mi interessa, invece, quello che è avvenuto dopo. Così come non ascoltiamo versioni successive, rifacimenti, extra vari o canzoni escluse. Ci interessa il disco e ci interessa capire come è nato e perché l’artista è arrivato in quel momento a fare quell’album. Ovviamente ci metto dentro sia spiegazioni sia aneddoti. Sono tutte cose che chi ascolta un pezzo alla radio o da Spotify non riesce a cogliere. Tutte queste premesse aiutano quindi le persone a capire e ad apprezzare la musica che poi andiamo ad ascoltare.

Spotify e i nuovi device digitali quindi si perdono, purtroppo, la parte più bella della musica?
La profondità e il racconto di un’opera sono sempre stati qualcosa di speciale. Se prendi in mano un disco lo capisci. Ora, per esempio, ho tra le mani Blonde on Blonde di Bob Dylan e Anthem of the Peaceful Army dei Greta Van Fleet. Due vinili con cinquant’anni di differenza, ma con una bella copertina e che rappresentano un momento irripetibile nella vita degli artisti che li hanno realizzati. Sta a noi andare a scoprire che cosa c’è dietro, come sono nati, quali storie li hanno accompagnati.

Mai dire mai

Ti è mai capitato, da giovane, di comprare un disco, magari dopo averci pensato per settimane, e poi di trovarlo deludente?
Ovviamente succede. Con i miei amici quei dischi li chiamavamo i “dischi polvere”, perché quando li portavi a casa e li avevi ascoltati qualche volta, poi rimanevano lì, sullo scaffale, a prendere la polvere. Succede. Di dischi “polvere” ce ne sono tanti e da ragazzi, se qualcuno li trovava a casa tua, eri oggetto di scherno. Ovviamente ho sempre mantenuto un grande rispetto anche per quei dischi e per chi li ha fatti. Hanno una loro dignità. Non solo, a volte succede di riscoprire un disco che trent’anni prima ti sembrava fuori moda e inutile, ma che poi ti si rivela sotto una luce nuova, perché eri tu nel mood sbagliato e non lo avevi capito. Così, molti anni dopo ti ritrovi a riascoltarlo. E con piacere.

È possibile quindi spiegare a un ventenne il primo disco dei Led Zeppelin e fargli capire che cosa ha significato per chi lo ha ascoltato e vissuto in quegli anni?
Deve esserlo, altrimenti a scuola come fanno a spiegarti che cosa sono l’Odissea e i Canti di Giacomo Leopardi? Sono classici e come tali devono essere spiegati, rispiegati e raccontati. Come per le altre arti e la letteratura, anche per la musica, alla fine, quello che conta è la voglia di conoscere e scoprire di chi ascolta. Recentemente parlavo con il cantante dei Jet, una band australiana che nel 2003 ha scalato le classifiche con Are You Gonna Be My Girl e che l’anno scorso ha riproposto tutto l’album Get Born in un tour mondiale, a quindici anni dall’uscita, rimanendo colpiti dal vedere un pubblico entusiasta fatto anche da ragazzini, ventenni, che riscoprono quelle canzoni oggi.

Quali dischi usciti in questi anni diventeranno classici nel prossimo futuro?
Probabilmente Ok Computer dei Radiohead, Grace di Jeff Buckley, Definitely Maybe degli Oasis. Ma la risposta giusta è: «Ne riparliamo tra trent’anni!». Il tempo alla fine farà le sue scelte e chi ha le carte per durare durerà. Per quanto mi riguarda so che ci sono ancora molte cose da raccontare.