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Long live rock’n’roll! Anche se le sue forme cambiano drasticamente nel corso del tempo, lo spirito è quello di sempre. Ribelle.

[articolo pubblicato su Vinyl n.10]

È il 20 settembre 1979, il Palladium di New York City è preso d’assalto da una folla scatenata. Sul palco suonano i Clash, “the only band that matters”.
Incitati dal pubblico, si lanciano in un encore da urlo che si apre con la cover del pezzo reggae di Willie Williams, Armagideon Time, seguita da Career Opportunities, hit dal leggendario primo album della band.

Al termine di White Riot, l’ultimo brano dello show, il bassista Paul Simonon, esausto, incespica nel cavo che collega il suo strumento all’amplificatore.
Quando si volta a guardarlo, ha gli occhi iniettati di sangue.
Dopo pochi secondi, afferra il basso per il manico e, accompagnato dal boato della folla, lo sfracella al suolo.
È un istante irripetibile che la fotografa Pennie Smith immortala in una foto in bianco e nero che cattura con precisione chirurgica il momento dell’impatto: diventerà una delle istantanee più importanti dell’iconografia punk.

A dire il vero, inizialmente Pennie aveva intenzione di cestinare la foto, che è fuori fuoco, ben lontana dagli standard di precisione degni di una reporter professionista.
Joe Strummer, cantante dei Clash, e il grafico Ray Lowry, però, la pensano diversamente: l’imprecisione dello scatto, infatti, lo rende ancora più vero, più crudo.

Quando alla fine del 1979 cominciano i lavori di pubblicazione di London Calling, il disco che cambierà per sempre la storia del punk, i due decidono quindi di usarla proprio per la copertina dell’album.
Nonostante la sua relativa semplicità, la copertina di London Calling progettata da Lowry merita il posto che occupa tra le cover più importanti e significative di sempre.

La scritta “London Calling” rosa e verde che occupa con i suoi caratteri cubitali il lato sinistro e inferiore della copertina è una citazione diretta del primo album omonimo di Elvis Presley del 1956, un omaggio che nasconde un intento ben più profondo della semplice citazione.
Se recuperiamo infatti il disco di Elvis, è facile notare che quella foto in bianco e nero non è soltanto simile ma esattamente opposta nel suo significato.
Mentre il Re del rock and roll viene ritratto con la chitarra in mano a testa alta mentre sembra quasi di sentirlo suonare, Simonon è chinato a terra e sta distruggendo il suo basso in uno momento di rabbia incontrollata, a cui la sfocatura, come anticipato, non fa che aggiungere realismo e violenza.

Se Presley si presenta nella sua classica giacca bianca che ne ha fatto il sogno delle fanciulle della sua generazione, il bassista dei Clash indossa invece una maglia larga e slandrata, i jeans attillati e strappati e un paio di stivali borchiati.
La differenza più grande, però, è nel gesto iconoclasta: Elvis sta suonando e creando, mentre Simonon non vuole più suonare e viene colto in un atto di deliberata distruzione.

Quello che vuole essere il punk: una sfida alle tradizioni della musica dei grandi maestri moderni che, dai Beatles ai Pink Floyd, sono colpevoli di essersi arricchiti e addormentati sugli allori.
Una sfida che, però, non è solo distruzione ma anche nuovo inizio, come spiega il maestro rockabilly Reverend Horton Heat: “Il rock and roll è morto quando i Beatles hanno iniziato a fare musica psichedelica. Quando è esploso il punk, sono tornate le canzoni di puro e semplice rock and roll. Il punk, in sostanza, è stato anche il ritorno del rock and roll”.