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Un musicista inglese pressa le ceneri dei defunti nei vinili: può sembrare solo macabro ma per gli appassionati di musica come noi può essere un modo per lasciare qualcosa di sé ai posteri

di Valentina Giampieri

Lo spargimento delle ceneri dei defunti è un rituale mistico che è entrato a far parte anche dell’iconografia cinematografica. Del resto, chi non preferirebbe perdersi tra i flutti marini o posarsi su “pascoli erbosi”, piuttosto che ritrovarsi, chiuso in una scatola di legno, sotto terra?

Ricordiamo, a tal proposito, il grottesco addio a Donny (Steve Buscemi) nel Grande Lebowsky, che ci insegna a guardare sempre da che parte tira il vento, prima del lancio. Ma pure quello più commovente e romantico a Francesca (Meryl Streep), con la dispersione degli amabili resti dal ponte coperto a Madison County. Certo, così facendo, andremo perduti nello spazio come lacrime nella pioggia.

Se il fine ultimo è quello di “restare”, si può sempre optare per l’urna nella credenza di casa o per un più classico loculo al cimitero. Su una cosa non abbiamo dubbi però: i musicofili incalliti come Barry (Jack Black) e Rob (John Cusack) di Alta fedeltà, per tornare al grande schermo, si innamoreranno di And Vinyly.

Che cos’è And Vinyly?

Si tratta di un completamento piuttosto originale del servizio funebre che permette di far pressare le proprie ceneri – o quelle dei cari estinti – su vinili in grado di suonare canzoni, ma anche voci, messaggi, etc.
Il nome fa il verso a “and finally” (e infine) e l’idea è farina del sacco di Jason Leach, musicista inglese quarantanovenne.

«Sono sempre stato appassionato di musica e ho fatto dischi per parecchio tempo. Più o meno dieci anni fa ho cominciato a pensare che forse un giorno, ehm, morirò anch’io. Non avevo mai considerato a fondo la cosa, poi mia madre ha trovato un lavoro alle pompe funebri e ha cominciato a raccontarmi anche di decessi di persone della mia età. È stato in quel momento che mi sono chiesto che cosa ne sarebbe stato di me dopo la mia dipartita. Sempre in quel periodo, ho visto in tv Johnny Depp che raccontava le ultime volontà dell’amico Hunter Thompson (famoso giornalista e scrittore americano, ndr) – aveva chiesto che le sue ceneri venissero sparate con un cannone nel cielo del Colorado – e ho immediatamente pensato: io voglio finire in un disco!».

Un desiderio che Jason poi ha cercato di trasformare in realtà.
«Inizialmente, non c’era alcuna idea di business, soltanto un’esigenza personale: volevo poter mettere questa richiesta nel mio testamento. Un po’ per gioco ho messo in piedi un sito internet e l’unico modo per considerare la morte senza cadere nel macabro mi è sembrato scherzarci sopra. Come logo avevo la triste mietitrice con la puntina del giradischi al posto della lama della falce. Praticamente da subito mi hanno contattato tantissime persone che volevano fare questa cosa. Da lì mi sono reso conto che avrei dovuto mettere in piedi qualcosa di serio. Non ero partito con l’idea di farne un lavoro, ma è stato inevitabile che lo diventasse.»

C’è da dire che normalmente, ehm, la polvere è l’incubo di chi ascolta i vinili, ma anche di chi li produce. Si rischia che la resa audio venga compromessa. «Se vuoi mettere delle ceneri in un disco, ma vuoi anche che il disco suoni, devi fare le cose per bene. Ho sperimentato con diversi materiali per vedere con quale avrebbe potuto funzionare. Volevo fare in modo che le ceneri fossero visibili e che il disco si potesse ascoltare».

Il suono di chi non c’è più

Il procedimento con cui vengono prodotti questi dischi è uguale a quello dei comuni vinili. Tuttavia non si tratta di un processo industriale: occorre avere un po’ più di tempo e qualche accortezza in più.
«Servono delle presse particolari, molto rare, e bisogna dosare attentamente il quantitativo di ceneri da inserire. Con quelle di una sola persona si possono fare anche centinaia di dischi: dobbiamo usarne pochissime. Quelle che rimangono ovviamente le restituiamo, si possono tenere nell’urna oppure spargere. In qualche modo, le ceneri condizionano il tipo di suono. Nello spazio tra una traccia e l’altra, per esempio, c’è caso che si sentano più fruscii e crepitii del solito, ma mi piace pensare che quello sia il suono della persona che è nel disco. Proprio per questo motivo, spesso suggerisco di lasciare una traccia libera, così nel silenzio si può percepire il suono chi è scomparso».

Il contenuto

Chi sceglie di programmare il disco per se stesso, ha il vantaggio di poterne definire aspetto e contenuti. Può addirittura preparare l’intero disco, ascoltarlo, e poi in un futuro – si spera non troppo prossimo – farci pressare sopra le proprie ceneri.

«La cosa più difficile per le persone è decidere cosa far incidere sul vinile. E comprendo benissimo. Anche il mio è in continua metamorfosi, cambio spesso idea sul contenuto. Quando arrivano da me, tutti hanno quasi sempre in mente canzoni che hanno significato qualcosa per loro, o per le persone per cui fanno il disco. Io suggerisco sempre di dare la priorità alle voci: messaggi che ci hanno mandato, registrazioni in cui raccontano storie, scherzano e fanno battute, audio di quando erano piccoli o di quando cantavano e suonavano. Per certi versi è più doloroso riascoltarli, ma alla fine mi ringraziano sempre del consiglio».

John Hobson, un anziano signore di Scarborough ha registrato con Jason un intero disco vocale in cui la madre Madge legge poesie e racconta storie e aneddoti di famiglia.

[Foto: web / continua con la seconda parte]